Abbiamo incontrato Ettore Bassi, protagonista de L'Attimo Fuggente dove interpreta il professor Keating, ruolo che fu di Robin Williams.
L'emozione di chi conserva l'entusiasmo dell'amore per la recitazione negli occhi, nella voce la calma di chi ha l'esperienza per maneggiare personaggi complessi e strutturati. Abbiamo incontrato Ettore Bassi in una delle sue prime date, a una manciata di minuti dall'inizio de L'Attimo Fuggente, trasposizione teatrale del film che nel 1989 ha sbancato i botteghini e incantato il mondo.
Ettore Bassi, un inizio di carriera come prestigiatore e poi studente alla Scuola di recitazione Tangram teatro di Torino, dopo qualche anno di conduzione televisiva si consacra attore nel 1996, giostrandosi tra cinema, fiction e palcoscenico. Del suo calarsi nei panni di un personaggio come Keating, delle suo ascoltarsi per salire le scale dell'attore in divenire, così come del teatro e dell'attimo che fugge, ci ha parlato dalla platea del Teatro Giuditta Pasta di Saronno (VA). (a fondo pagina il video integrale dell'intervista)
L'attimo che fugge, prendere le occasioni al volo, che cosa è per lei il Carpe Diem?
Carpe diem è vita, se si sente qualcosa che muove, un'energia vitale dentro, quello è il Carpe Diem. Significa partire ascoltando se stessi, percepire se quella connessione ti porta dalla parte giusta di te. Quella vocina interiore istintiva che noi sentiamo, che arriva ad ogni età e in ogni momento della vita, è quella che ti dice la verità. Carpe Diem vuol dire accendere quella vocina.
Oggi la gente ha una nevrosi legata al sentirsi attivo in qualche cosa perché la sostanza entro cui ci muoviamo è sfarinata. Quello che ci gira intorno è volutamente poco consistente, perché si ha l'illusione di sentirsi impegnati mentre ci arrivano messaggi che nemmeno leggiamo o per cui siamo distratti. La gente si impegna tanto, ma con cose che non portano da nessuna parte.
Ha mai incontrato un Keating o un suo antagonista sulla sua strada?
Credo sia il sogno di tutti noi, perché siamo sempre alla ricerca di qualcuno che ci indichi la strada, di una guida. Ne abbiamo bisogno quando siamo piccoli, poi adolescenti, giovani, adulti e qualche volta anche da vecchi. Lo cerchiamo, a volte lo troviamo e a volte no. Io ho trovato pezzettini di Keating sparsi qua è là, non mi è mai capitato un Keating. Comincio a pensare sia dentro ognuno di noi e che non dobbiamo cercarlo fuori. Allo stesso modo ho trovato pezzettini di negatività, sparpagliati sul mio percorso, di chi o qualcosa che cercava di dissuadermi. Succede a tutti, il luogo dove siamo per darti le chance di diventare ciò che vuoi essere ti deve disseminare il percorso di ostacoli, ti danno la dimensione di ciò che sarai domani.
Cosa rappresenta per lei il professor Keating, come è stato vestirne i panni?
Lo immagino e sento come fosse la fodera del mio tessuto, che mi porto dentro e che quando sono lassù sul palcoscenico sfodero, e lo faccio vivere. La bellezza di questo lavoro è riuscire a sentire cosa hai bisogno di dire e cercare qualcuno che ti permetta di farlo. Quel qualcuno non è il produttore, non è il regista, ma il personaggio e la storia che il personaggio incontra tutte le sere. Keating è quel personaggio che mi permette di raccontare quello che oggi ho voglia di raccontare oggi. E' un complice un amico, un fratello che mi da la possibilità ogni sera di riaccendere in me il motivo per cui faccio questo lavoro.
C'è un percorso particolare che l'ha condotta a questo spettacolo; ce lo racconta?
Il mio incontro con questo spettacolo ha conosciuto una strada particolare, racchiuso in un ingrediente legato al destino, alla bellezza e alla magia che la vita qualche volta ci regala. Cercavo un personaggio nuovo, ci ho pensato un'oretta e in testa è arrivato il titolo... 'L'Attimo Fuggente'. Ho chiamato il mio socio, amico, produttore di spettacoli e ne è rimasto entusiasta. Ricercando in rete abbiamo scoperto che era uno spettacolo già in allestimento per Stm, i cui diritti erano già stato acquistati con forse anche il nome di un protagonista e io sono andato quindi a piangere disperato in un angolo. Ne ho poi parlato con la mia compagna che, come voi donne meravigliosamente sapete fare, mi ha illuminato con una semplice risposta: "ehm beh", quell'ehm beh è stato il mio 'Carpe Diem'. Lei mi ha detto "chiamali, vai, muoviti", e così l'ho fatto. Mentre parlavamo, è venuto fuori che anche loro stavano pensando a me ed eccoci qua.
La magia, l'inizio di un cammino che oggi l'ha portata qui, come lo ricorda?
Della magia mi è rimasta la gratitudine del momento di innocenza puro, che mi ha permesso di slanciarmi in mezzo alla fantasia, all'emozione e alla scoperta di me stesso. Una chiave, un espediente e una porta che mi ha permesso di avvicinarmi a tutto questo.
Preparazione, concentrazione, come entra Ettore Bassi nel personaggio?
Ognuno ti chiede qualcosa di diverso e in ognuno metti un pezzo di te, della tua storia, quindi ogni personaggio ti chiede un pezzo diverso e ogni pezzo diverso richiede un modo differente di entrarci. La mia attitudine ed abitudine è lasciarmi trasportarmi dalla storia durante le prove, ascoltando cosa il personaggio propone, a volte mi capita di arrivare quasi al debutto senza avere un'idea chiara e nemmeno tutta la memoria pronta. La cosa bella è che ciò non mi spaventa perché sono fiducioso di quello che trovo lì sul palco e anche di me stesso.
Teatro e cinema, che differenza passa tra palco e set?
Quando sei sul set devi essere pronto ad affrontare pezzettini di storia, devi essere veloce, destrutturarti completamente ed entrare in quel pezzettino. Avviene con il talento e l'esperienza. In teatro è l'opposto, prendi la tutta la storia, la devi assorbire completamente, buttartici dentro e aspettare l'uscita dall'altra parte. Fare teatro è affrontare materia viva e in movimento, che a volte ti sfugge di mano e capita di cambiare le battute purché non si cambi il senso. Il tracciato del copione è stato fatto perché così la storia ha un senso.
Giovani e teatro sono spesso universi lontani, cosa direbbe loro?
Ai ragazzi come pubblico dico vale la pena andar a teatro perché parla di loro, e non perché sono giovani o perché lo spettacolo trova la chiave di parlare ai giovani con linguaggio e modalità dei giovani... Basta con queste ipocrisie, i ragazzi sono capaci perfettamente di capire ogni linguaggio. Il tradimento che subiscono è che gli viene raccontato che in teatro si parla di altro, che è tutto poco interessante. Gli dicono che di loro si parla dove interessa a qualcun altro che vadano a vedere, ma è sempre sul palco che si parla di loro.
Cosa suggerisce invece ai giovani che sognano di realizzarsi come attori?
Dico sempre di capire quale è il senso di voler fare questo mestiere, e se è in sintonia con l'immagine sincera che hanno di sé. Se preso nel modo sbagliato questo lavoro crea illusioni seguite da disillusioni spesso fatali. Invito i ragazzi che hanno lo slancio onesto e sincero di spingere con tutta la forza che hanno.
Intervista di Valentina Rigano
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